Individuato fra Alzheimer e PTSD un possibile legame patogenetico

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 21 febbraio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

In tutto il mondo la massima parte degli psichiatri è pronta a giurare sulla totale indipendenza dei processi neurodegenerativi che causano la malattia di Alzheimer dalla patogenesi del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e di altre sindromi caratterizzate dall’ansia. Una tale sicurezza, alla luce delle conoscenze attuali, è assolutamente giustificata. Non è solo un atteggiamento derivato da una tradizione clinica, che considerava la malattia di Alzheimer un disturbo neurologico di interesse psichiatrico e la sindrome da stress traumatico un disturbo psichiatrico con prevalenti implicazioni psicologiche, ma è la conoscenza della patologia molecolare della neurodegenerazione e i meccanismi neurofunzionali innescati dallo stress, a segnare un solco di separazione concettuale fra le due eziopatogenesi che sono, peraltro, ancora oggetto di studio[1].

Tuttavia, recenti studi epidemiologici e raccolte di informazioni cliniche longitudinali, hanno evidenziato che coloro che soffrono di PTSD hanno una probabilità maggiore, in età avanzata, di ammalarsi di demenza e, in particolare, di sviluppare malattia di Alzheimer. I risultati di alcuni studi sperimentali suggeriscono che, pur essendo indipendenti gli eventi patologici di origine e sviluppo di condizioni tanto diverse, i processi alla base dei sintomi del PTSD potrebbero avere un effetto esacerbante la progressione della malattia di Alzheimer. Un’altra ipotesi, tanto ragionevole quanto per il momento indimostrata, è che la più grave demenza degenerativa e il più grave disturbo da stress potrebbero condividere dei fattori di suscettibilità. Secondo tale ipotesi, coloro che entrano in uno stato di sofferenza protratta per l’esperienza di un trauma psicologico, avevano già un maggior rischio di sviluppare demenza in età avanzata e, per questa ragione, il PTSD non avrebbe alcun ruolo concausale nella neurodegenerazione.

Nicolas J. Justice e colleghi hanno sottoposto a verifica sperimentale queste due ipotesi mediante una valutazione dei rapporti fra la patologia molecolare delle due malattie. A tale fine, hanno impiegato un modello murino di PTSD che hanno indotto sia in genotipi naturali di topo sia in modelli animali di malattia di Alzheimer. I risultati dello studio meritano di essere conosciuti (Justice N. J., et al., Posttraumatic Stress Disorder-Like Induction Elevates β-amyloid Levels, Which Directly Activates Corticotropin-Releasing Factor Neurons to Exacerbate Stress Responses. The Journal of Neuroscience 35 (6): 2612-2623, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Institute of Molecular Medicine, Program in Neuroscience and Department of Integrative Biology and Pharmacology, University of Texas Health Sciences Center, Houston, Texas (USA); Huffington Center on Aging and Department of Human and Molecular Genetics, Baylor College of Medicine, Houston, Texas (USA); Jan e Duncan Neurological Research Institute at Texas Children’s Hospital, Houston, Texas (USA).

Prima di esporre in sintesi i contenuti dello studio, si ricordano alcune nozioni di patologia delle due malattie in questione.

Per ciò che concerne la malattia di Alzheimer, dei due contrassegni patologici già identificati morfologicamente dallo stesso Alois Alzheimer, ossia le alterazioni neurofibrillari intraneuroniche costituite da fasci di filamenti appaiati ad elica derivati da peptidi tau e le placche amiloidi composte da neuriti rigonfi e depositi extracellulari di peptidi Aβ 40-42 derivati dalla scissione dell’APP da parte di β-secretasi e γ-secretasi, ci riferiamo solo al secondo.

La composizione delle placche, che include cellule gliali reattive, elementi infiammatori e detriti, è complessa, ma qui si ricorda solo l’importanza dell’amiloide nella patogenesi della degenerazione. Forme familiari di malattia di Alzheimer sono dovute a mutazioni nel gene della proteina APP sito sul cromosoma 21 e mutazioni in PS1 (oltre 90) e PS2. La maggior parte delle mutazioni in APP, PS1 e PS2 influenza l’attività enzimatica di scissione di BACE1 (β-site APP cleaving enzyme 1) e γ-secretasi, aumentando il livello di tutte le specie di peptidi β-amiloidi, con aumento relativo di Aβ42 tossici. Su questa base si creano modelli sperimentali in roditori di laboratorio, realizzando genotipi portatori delle mutazioni umane nell’APP e nelle preseniline, in grado di sviluppare processi patologici simili a quelli della malattia umana.

Si ritiene che forme lievi e temporanee di risposte allo stress e ad eventi traumatici nella forma di reazioni ansiose, neurovegetative e cognitive, siano espressione fisiologica di adattamento a potenziali minacce provenienti dall’esterno o dall’interno (auto-evocate). Tali risposte costituirebbero, in chiave evoluzionistica, degli stati funzionali intesi a proteggere l’organismo e conterrebbero gli elementi necessari a ricostituire l’equilibrio rotto dalla minaccia. I disturbi dello spettro dell’ansia, che si osservano in clinica e fanno parte spesso della nostra esperienza personale, si ritiene siano risposte maladattative emerse nell’evoluzione umana. Sul totale di questi disturbi, la prevalenza del PTSD è stata stimata nell’ordine del 6,8% (Kessler et al., 2005)[2].

Il PTSD è la forma più grave di disturbo che segue ad un trauma psichico che abbia implicato il rischio di morte, come un evento di guerra, un’aggressione armata, un terremoto, un maremoto, una sciagura aerea, navale, ferroviaria; oppure una minaccia o perdita dell’integrità fisica in circostanze che generano terrore, come nella tortura e nella violenza sessuale. Il PTSD è causato anche dalla vista della morte di una o più persone nelle più varie circostanze. La caratteristica fisiopatologica principale è data da uno stato acuto che si autogenera e persiste nel tempo: il paziente vive costantemente come se stesse reagendo ad un grave evento attuale. Rivive in varia forma il trauma, con ricordi intrusivi ed incubi, presenta la startling response (sobbalzare al minimo rumore), disturbi del sonno, paura, ansia, tachicardia, eccetera.

Fra i meccanismi individuati alla base dei sintomi, vi è il rilascio di CRH (CRF) da parte di neuroni diversi da quelli ipotalamici che controllano l’ACTH, in particolare da parte dei neuroni dell’amigdala. Il CRH in eccesso attiva un corto-circuito con il locus coeruleus, il maggior agglomerato di neuroni noradrenergici dell’encefalo, determinando una contemporanea attivazione dell’asse CRH-ACTH-cortisolo e del sistema simpato-adreno-midollare[3]. I recettori per il CRH[4], oltre che nell’ipofisi sono presenti nei neuroni della corteccia cerebrale, nell’amigdala, nell’ippocampo, nell’ipotalamo e nel già citato LC. Questo ed altri meccanismi centrali sui quali si indaga, nel PTSD riprodurrebbero internamente e ciclicamente ciò che normalmente si verifica nella reazione acuta di paura o spavento per una minaccia reale e presente.

I ricercatori hanno deciso di valutare gli effetti sulle risposte dei sistemi neuronici ed endocrini di uno stress traumatico in genotipi che riproducono le mutazioni caratterizzanti la familiarità umana per lo sviluppo di malattia di Alzheimer. In particolare, sono state cimentate mutazioni ben definite come causa di neurodegenerazione alzheimeriana nel gene della APP (amyloid precursor protein) e nella presenilina 1. L’induzione del modello di PTSD nei roditori con questo genotipo ha mostrato una maggiore sensibilità alle modificazioni simili a quelle indotte dal trauma nelle reazioni comportamentali e nelle risposte endocrine allo stress. Il paragone con i topi privi delle mutazioni causanti la malattia di Alzheimer nel’uomo, ha dato esiti di chiara evidenza.

Ma, un altro aspetto emerso dagli esperimenti attrae particolarmente l’attenzione: l’induzione negli animali di uno stato fisiopatologico simile a quello del PTSD causava l’innalzamento protratto nel tempo dei livelli di peptide β-amiloide () nel fluido cefalo-rachidiano (CSF). Tale effetto, nei modelli sperimentali murini di malattia di Alzheimer con processi fisiopatologici in corso, aggravava in modo marcato ed evidente gli eventi che portano alla perdita dei neuroni cerebrali.

Lo studio ha evidenziato che l’induzione di processi e manifestazioni comportamentali PTSD-simili  e l’elevazione dei livelli di , sono dipendenti dalla segnalazione legata al recettore CRF1 (corticotropin releasing factor 1) e da un asse ipotalamo-ipofisi-surrene in perfetta attività fisiologica.

Un’altra importante evidenza emersa da questo studio è che le specie molecolari possono indurre ipereccitazione dei neuroni che producono e rilasciano CRF (corticotropin releasing factor, ossia CRH, corticotropin releasing hormone). È proprio questo dato a rappresentare un importante anello di congiunzione nei processi patologici, perché suggerisce un meccanismo molecolare mediante il quale i peptidi amiloidogenici Aβ influenzano i processi alla base dello sviluppo dei sintomi di PTSD e i fenotipi PTSD-like.

Per sottoporre a verifica questa interpretazione dei dati ottenuti, i ricercatori hanno provveduto ad allestire esperimenti nei quali hanno valutato gli effetti della riduzione dei livelli di peptidi amiloidogenici sulla patogenesi dei sintomi della sindrome sperimentale che ricalca la patologia psichica da trauma umana. Le prove sperimentali, in coerenza con l’aumentata eccitabilità dei circuiti dello stress indotta dai peptidi Aβ, hanno fatto registrare un’attenuazione del fenotipo PTSD-simile in vivo, con l’abbassamento dei tassi di Aβ durante l’esposizione a trauma per l’induzione della sindrome sperimentale.

Presi nell’insieme, i dati ottenuti da Nicolas J. Justice e colleghi, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale dell’articolo originale, dimostrano che l’esposizione a traumi con effetti simili a quelli del PTSD può avere una influenza sulla patogenesi della malattia di Alzheimer, la quale, a sua volta, agisce perturbando la segnalazione legata al CRF, di cruciale importanza nella genesi dei sintomi da stress, in tal modo aggravando le manifestazioni della sindrome traumatica ed aumentando il rischio di demenza legata alla malattia di Alzheimer.

Ulteriori studi aiuteranno a comprendere il valore reale di queste possibili interazioni.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Giovanna Rezzoni, con la quale ha discusso l’argomento trattato, e la dottoressa Isabella Floriani per revisione e correzione del testo; inoltre invita alla lettura delle numerose recensioni sulla malattia di Alzheimer e il PTSD che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-21 febbraio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Rezzoni G., Appunti di fisiopatologia dei disturbi della mente. BM&L-Italia, Firenze 2015.

[2] Kessler R. C., et al., Archives of General Psychiatry 62 (6): 593-602; 617-627, 2005. Per chi voglia approfondire in generale l’argomento PTSD, si consigliano gli scritti del nostro presidente [il volumetto “Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD)” citato in precedenti note, ecc.].

[3] Si ricorda che le componenti centrali dei sistemi dello stress sono costituite dal nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PNV) che produce il CRH o fattore di rilascio della corticotropina e l’arginin-vasopressina (AVP), e dal locus coeruleus (LC) che produce noradrenalina. Questi due nuclei sono anatomicamente connessi mediante proiezioni reciproche fra i loro neuroni. La loro stimolazione determina l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema simpato-adrenomidollare, che costituiscono le due vie efferenti per la risposta periferica allo stress.

[4] Si sta sperimentando una nuova classe di ansiolitici costituita da antagonisti dei recettori del CRH.